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Pinza triestina

pinza triestina

La pinza triestina è uno dei piatti tipici della nostra città ed è inclusa nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del Friuli Venezia Giulia. Dolce lievitato e delicatamente profumato di agrumi, è solcato da tre tagli che provocano la rottura della pasta in superficie quando entra a contatto con il calore conferendo così la sua forma tipica. La Pinza è sempre presente nella nostra città ma nel periodo pasquale non può mancare dalla tavola.

“Bona Pasqua e bone pinze”

L’origine della pinza triestina è indubbiamente collegata alla tradizione pasquale, la sua forma rotonda infatti rappresenta la spugna intrisa d’aceto nella scena del Cristo in croce mentre le titole fatte con lo stesso impasto rappresentano i chiodi sulla croce.

Il termine pinza (o pinsa) compare anche in Trentino, Veneto e Istria e viene attestato per la prima volta in Italia nel 1256 con il significato di focaccia. La sua etimologia non è certa perché i possibili collegamenti sono diversi: il disciplinare della Pinza infatti cita il greco antico “pissa” (pece, panetto di pece), il latino pinsa derivato dal verbo pinsare (schiacciare), passata poi a pinza-pizza per influenza del greco moderno pìtta (focaccia) e infine una possibile origine ebraica , da “pita” (pane), come a p. 93 del manuale di cucina ebraica di A.Ganor e R. Maiber “Taste of Israel.

Citata nel manuale di cucina Die Süddeutsche Küche pubblicato a Graz nel 1892 da Katharina Prato, viene descritta anche da Artusi in “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” quale focaccia di burro, zucchero e farina. Aromi delicati e semplicità degli ingredienti sono propri di un territorio che, a differenza delle zone più povere, non sentiva la necessità di arricchire il dolce della festa con le cose più buone che la dispensa.

Semplicità di ingredienti ma non nella preparazione dell’impasto che richiedeva fino a 36 ore. Al primo impasto di lievito acqua e farina (lievitino) si aggiungono infatti in due momenti successivi gli altri ingredienti intervallati da lunghe fasi di riposo e lievitazione. In “Trieste, spunti del suo passato” Silvio Rutteri spiega come fosse “…un punto d’onore fare le pinze in casa. Incominciando il primo lievito alle quattro del mattino, le massaie lavoravano a più riprese la pasta ricca di uova, zucchero e burro. Per riuscire a “rostirle” nel migliore dei modi le massaie dovevano ricorrere al forno di fiducia e, al venerdì santo – e non solo nei rioni di periferia – si vedevano le donne con un vassoio in testa che portavano le pinze coperte da un canovaccio ad affrontare l’ultima prova. Le più diffidenti mettevano bigliettini su ogni focaccia o facevano qualche segno particolare: era intollerabile l’idea che le pinze fossero infornate tutte assieme dal fornaio”.

Come si mangia la pinza da tradizione

Nella tradizione quindi le donne preparavano la pinza che veniva lasciata ai forni e ritirata il sabato. La domenica di Pasqua si andava a messa con la pinza per benedirla e finita la messa la famiglia si riuniva alla tavola apparecchiata a festa con uova decorate e le pietanze pasquali: la gelatina, il prosciutto cotto arrostino nel pane, il presnitz e appunto la pinza che veniva accompagnata dal prosciutto cui si aggiungevano fiori di finoccio o kren (radice di rafano grattugiata).

Dove acquistare la pinza triestina

Trovi la pinza triestina in tutte le pasticcerie di Trieste, una delle pasticcerie più amate dai triestini è Jerian, la cui pinza è stata citata dalla rivista Gambero Rosso come proposta per la colazione pasquale.

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Ogni camera del nostro b&b ha un nome di donna che inizia per A: Annetta, Amalia, Angiolina, Ada, Alberta e Augusta. Sono i nomi delle protagoniste dei romanzi dello scrittore triestino Italo Svevo.
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